venerdì 25 giugno 2021

Le difficoltà per l'approvvigionamento degli isolanti per mancanza materie prime!

Negli ultimi anni,gli isolanti in polistirene espandibile sono stati vissuti come in un caleidoscopio di situazioni mutevoli in modo imprevedibile ad ogni sussulto della situazione geopolitica mondiale dovuta a guerre, pandemie, cambiamenti climatici, inquinamento ambientale e ad una globalizzazione selvaggia dell’economia, tutti fattori che possono incidere in maniera determinante sulle economie nazionali dei singoli Stati.

L’attuale situazione, però, ha dei connotati che non si sono mai riscontrati simultaneamente:

  • la straordinaria richiesta di prodotti;
  • l ’aumento fuori controllo del prezzo di tutte componenti;
  • le criticità legate all’approvvigionamento di tutti i materiali;
  • il blocco o il forte contingentamento di alcune materie prime strategiche nella produzione dell’EPS (es. la grafite).

Ad oggi, non sappiamo quanto potrà durare ancora questa paradossale situazione: per ora non ci rimane che cercare di tutelare al meglio tutti i nostri Clienti, vero patrimonio della nostra Azienda.

Per dare un’adeguata risposta all’incremento degli ordini dei nostri Clienti, abbiamo mobilitato e potenziato tutte le aziende che collaborano con noi, nel campo degli isolanti sintetici, minerali e naturali programmando un approvigionamento dei materiali e spingendo le stesse aziende di produzione a garantirci delle lastre per Sistemi a Cappotto confidando che non ci siano ulteriori interruzioni nell’approvvigionamento delle materie prime, la cui disponibilità per il settore, in particolare degli isolanti sintetici, risulta assai carente in funzione dell’elevata domanda”provocata dal eco-bonus.

Invitiamo per tanto ,tutti i nostri clienti a formulare gli ordini in modo programmatico, e spingendo a scegliere i materiali con tempi di consegna garantiti nei 20gg lavorativi.

MILLENNIUM

SabatoPagano


 

martedì 8 giugno 2021

MILLENNIUM: Superbonus per interventi di rinforzo su strutture...

MILLENNIUM: Superbonus per interventi di rinforzo su strutture...: Usare il Superbonus per interventi di rinforzo su strutture in c.a.: ecco un software per calcolarne il costo   Brigante Domenico - Ingegner...

Superbonus per interventi di rinforzo su strutture "COME ATTUARE L'ITER"








Usare il Superbonus per interventi di rinforzo su strutture in c.a.: ecco un software per calcolarne il costo

   29/07/2020  5475

Con il nuovo Sismabonus, per gli edifici in calcestruzzo armato è possibile ottenere il passaggio alla Classe di Rischio immediatamente superiore, eseguendo solamente interventi locali di rafforzamento, anche in assenza di una preventiva attribuzione della Classe di Rischio.

Gli interventi necessari per il passaggio di classe sono il confinamento di tutti i nodi perimetrali non confinati dell’edificio, le opere volte a scongiurare il ribaltamento delle tamponature, compiute su tutte le tamponature perimetrali presenti sulle facciate ed eventuali opere di ripristino delle zone danneggiate e/o degradate.

Uno strumento gratuito, utile ai professionisti ed ai proprietari di immobili per calcolare rapidamente il costo di un intervento di miglioramento sismico di strutture in c.a. mediante il metodo semplificato è stato sviluppato dall’azienda OLYMPUS specializzata in materiali FRP, FRCM e CRM per il consolidamento strutturale.

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Inserendo pochi e semplici dati relativi al fabbricato oggetto di stima è possibile ottenere il calcolo del credito di imposta potenziale relativo agli interventi di miglioramento sismico proposti. Il software svilupperà un computo metrico delle opere strutturali al quale il tecnico potrà aggiungere il costo delle opere edili complementari. 

Il software può essere scaricato gratuitamente dal sito

Il metodo semplificato per il sismabonus 110% su strutture in c.a.

Come indicato nell'allegato A alle Linee Guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni, per gli edifici in calcestruzzo armato è possibile ottenere il passaggio alla Classe di Rischio immediatamente superiore, eseguendo solamente interventi locali di rafforzamento, anche in assenza di una preventiva attribuzione della Classe di Rischio.
confinamento del nodoCiò è possibile soltanto se la struttura è stata originariamente concepita con la presenza di telai in entrambe le direzioni e se saranno eseguiti tutti gli interventi seguenti:

  • confinamento di tutti i nodi perimetrali non confinati dell’edificio; 
  • opere volte a scongiurare il ribaltamento delle tamponature, compiute su tutte le tamponature perimetrali presenti sulle facciate;
  • eventuali opere di ripristino delle zone danneggiate e/o degradate.

Il nuovo superbonus 110% - una grande opportunita’

A partire dal 1° luglio 2020, fino al 31 dicembre 2021 ai cittadini viene concessa la possibilità di riqualificare l’immobile riducendo gli oneri fino al “costo zero” sfruttando i nuovissimi incentivi fiscali e il meccanismo dello sconto in fattura.

Il D.L. Rilancio ha previsto degli incentivi fino al 110% della spesa che consentiranno senza alcun costo di rendere più efficiente e più sicura l’abitazione ed al contempo di aumentarne il valore commerciale. 

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Le linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni

Le Linee Guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni forniscono gli strumenti operativi per la classificazione del Rischio Sismico delle costruzioni. 

Il documento definisce otto Classi di Rischio, con rischio crescente dalla lettera A+ alla lettera G. La determinazione della classe di appartenenza di un edificio può essere condotta secondo due metodi, tra loro alternativi, l’uno convenzionale e l’altro semplificato, quest’ultimo con un ambito applicativo limitato. 

Il metodo convenzionale è concettualmente applicabile a qualsiasi tipologia di costruzione, è basato sull'applicazione dei normali metodi di analisi previsti dalle attuali Norme Tecniche e consente la valutazione della Classe di Rischio della costruzione sia nello stato di fatto sia nello stato conseguente all’eventuale intervento. 

Il metodo semplificato si basa su una classificazione macrosismica dell'edificio, è indicato per una valutazione speditiva della Classe di Rischio dei soli edifici in muratura e può essere utilizzato sia per una valutazione preliminare indicativa, sia per valutare, limitatamente agli edifici in muratura, la classe di rischio in relazione all’adozione di interventi di tipo locale. Ulteriori specifiche applicazioni del metodo semplificato sono riportate al §3.2 delle presenti linee guida. 

Per la determinazione della Classe di Rischio si fa nel seguito riferimento a due parametri: (i) la Perdita Annuale Media attesa (PAM), che tiene in considerazione le perdite economiche associate ai danni agli elementi, strutturali e non, e riferite al costo di ricostruzione (CR) dell’edificio privo del suo contenuto, e (ii) l’indice di sicurezza (IS-V) della struttura definito come il rapporto tra l'accelerazione di picco al suolo (PGA, Peak Ground Acceleration) che determina il raggiungimento dello Stato Limite di salvaguardia della Vita(1) (SLV), capacità in PGA – PGAC, e la PGA che la norma indica, nello specifico sito in cui si trova la costruzione e per lo stesso stato limite, come riferimento per la progettazione di un nuovo edificio, domanda in PGA - PGAD. L’indice di sicurezza (IS-V) della struttura è meglio noto ai tecnici con la denominazione di “Indice di Rischio”(2). 

Nel caso degli edifici la Classe di Rischio associata alla singola unità immobiliare coincide con quella dell’edificio e, comunque, il fattore inerente la sicurezza strutturale deve essere quello relativo alla struttura dell’edificio nella sua interezza. Caso più articolato, ovviamente, è quello relativo agli aggregati edilizi in cui l’individuazione dell’unità strutturale è più complessa e per la quale, per semplicità, può farsi riferimento al metodo semplificato nel seguito riportato. 

In ogni caso, l’attribuzione della Classe di Rischio mediante il metodo semplificato è da ritenersi una stima attendibile ma non sempre coerente con la valutazione ottenuta con il metodo convenzionale, che rappresenta, allo stato attuale, il necessario riferimento omogeneo e convenzionale. 

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Laddove si preveda l’esecuzione di interventi volti alla riduzione del rischio, l’attribuzione della Classe di Rischio pre e post intervento deve essere effettuata utilizzando il medesimo metodo e con le stesse modalità di analisi e di verifica, tra quelle consentite dalle Norme Tecniche per le Costruzioni. 

Nel caso di valutazioni finalizzate all’esecuzione di interventi sugli edifici volti alla riduzione del rischio, è consentito l’impiego del metodo semplificato, nei soli casi in cui si adottino interventi di rafforzamento locale; in tal caso è ammesso il passaggio di una sola Classe di Rischio.

Il software gratuito per calcolare il costo del tuo intervento semplificato su strutture in c.a.

Al fine di fornire uno strumento utile ai professionisti ed ai proprietari di immobili per calcolare rapidamente il costo di un intervento di miglioramento sismico di strutture in c.a. mediante il metodo semplificato OLYMPUS ha sviluppato un nuovo software gratuito.

Inserendo pochi e semplici dati relativi al fabbricato oggetto di stima è possibile ottenere il calcolo del credito di imposta potenziale relativo agli interventi di miglioramento sismico proposti. Il software svilupperà un computo metrico delle opere strutturali al quale il tecnico potrà aggiungere il costo delle opere edili complementari.  

Il software può essere scaricato gratuitamente dal sito










 

lunedì 7 giugno 2021

L'INTONACO DEUMIDIFICANTE

 

L'INTONACO DEUMIDIFICANTE


La traduzione e l’interpretazione dei testi classici hanno prodotto, attraverso i secoli, il perpetuarsi di un’Arte ancor valida ai giorni nostri. Il processo di trasmissione del sapere, da Mastro a giovane di Bottega, di generazione in generazione, ha consentito una lenta, continua evoluzione delle conoscenze, che hanno lasciato preziose memorie sul nostro territorio.

Se da un lato i professionisti del restauro tendono ad applicare materie e modi di costruire del passato, perche più in aderenza alla verità storica del fabbricare, dall’altro, pero, vi e anche una consolidata propensione all’utilizzo di materiali e tecnologie moderni: i lunghi tempi di elaborazione e le tecniche costruttive del passato - che erano un patrimonio culturale dei costruttori d’un tempo - sembrano oggi quasi improponibili a causa dell’impossibilita di disporre delle tradizionali Arti dei vecchi Mastri. Non di meno, la mancanza delle materie originarie delle antiche ricette, sta causando, nella moderna produzione industriale, modificazioni tali da poter compromettere irreversibilmente una cultura che sembra oggi cadere nell’oblio.

L’obiettivo dell’ Accademia  ha come scopo la riconquista delle antiche Regole poiché i Mastri, che in essa lavorano, hanno piena consapevolezza, che la loro conoscenza e l’unico supporto culturale che metta in grado il progettista-restauratore di valutare quali siano le caratteristiche dei materiali del passato e quali le virtù che li rendono ancor oggi compatibili col progetto di restauro.

Ulteriore scopo della nuova “Bottega” – Accademia - è quello di porre in rilievo scelte e strategie, che possano condurre gli operatori del settore, a riconvertire tecniche generalizzate ad un più specifico uso locale della materia e del colore, con particolare attenzione al patrimonio storico che caratterizza la cultura e l'ambiente in cui e inserito.

L’esperienza dell’Accademia  si caratterizza in tecniche di consolidamento delle cortine ammalorate, scelta dei materiali più idonei, composizione delle malte e conseguenti innovative modificazioni, preparazione dei tinteggi e loro stesura, che si complementa con ogni altra forma artigianale di applicazione dei materiali, in stretta aderenza con la tradizione e le esigenze progettuali di ogni intervento a cui sono chiamati.

Le origini della ricerca
Nel 1770, M. Loriot, un eclettico ricercatore francese, primo meccanico di sua Maestà Luigi XV, pose quest’intrigante quesito: “Come si spiega che i romani abbiano costruito l’acquedotto, conosciuto col nome Pont du Gard, nelle prossimità di Nimes, senza far uso di pozzolana? Se hanno usato esclusivamente calce grassa, come e possibile che abbiano messo in uso l’acquedotto senza veder la calce dilavarsi?”.

Eppure l’incredibile opera e arrivata fino a noi in tutta la sua possanza.

Il celeberrimo Loriot, era convinto che i romani custodissero il segreto di un metodo di preparazione delle malte “acquatiche” e che non lo volessero divulgare.

Cosi, nelle Memoire sur une decouverte dans l'art de batir, faite par le Sr. Loriot, Mecanicien, Pensionnaire du Roi (A Paris, 1774), si impara sulla scoperta del geniale Loriot:

Il signor Loriot, dopo aver esaminato quasi tutto ciò che i Romani hanno lasciato in Francia, si e intimamente convinto che essi non impiegavano materiali diversi da quelli di cui noi ci serviamo; che la calce, la sabbia, il cocciopesto, ed altre materie di questa specie, ottenevano da soli la perfezione di questi composti, ma che essi avevano un altro metodo rispetto al nostro nella manipolazione e la preparazione”.

Noi siamo convinti che oltre alle materie prime scelte dai Magister Calcariarum, siano state la sapiente preparazione ed applicazione delle malte a renderle cosi tenaci all’aggressione dell’acqua e dei sali. L’uso reiterato del Baculus nelle loro applicazioni doveva aver conferito ai manufatti una compattezza straordinaria, confinando il volume dei pori nella frazione microporosa. Il Baculus era un attrezzo simile ad uno spesso frattazzo quadrato, di metallo, di dimensioni ridotte; esso era dotato d’un manico ed era usato come un pesante martello per compattare lo strato d’intonaco facendone uscire tutta l’acqua d’impasto in esubero, riducendo le macroporosità a microporosità. Nelle malte romane costipate coi Baculus, che ancor oggi si mostrano integre, la porosimetria a mercurio ha indicato un diametro medio dei pori molto regolare (circa 0.1 μmicron), mentre i pori medi della malte degradate sono molto più grossi e coprono una gamma che va da 1 μm circa, fino a 22 μm, anche se la percentuale di porosità aperta e simile nei due casi (circa il 25%).

Baculus
Baculus

Sicuramente l'osservazione microstrutturale della malta originale romana non degradata ha riservato le sorprese più grandi.

Le osservazioni al SEM hanno messo infatti in evidenza una microstruttura molto compatta (Fig. a) e molto simile a quella di un materiale ceramico sinterizzato, compresenza di grani addirittura submicronici. Questa compattezza ha sicuramente favorito la durabilità dell'opera. La malta degradata ha invece rivelato una microstruttura molto meno compatta con numerose cavità (Fig. b), a conferma dei risultati di porosimetria.

L’analisi alla microsonda sulle malte ha confermato i dati diffrattometrici: la causa del degrado della malta (b) va quindi cercata nei continui cicli di bagnasciuga che hanno portato ad una maggiore porosità, probabilmente anche a seguito di fenomeni di gelo e disgelo.

L’eccezionale compattezza della malta integra e un autentica testimonianza, a 2000 anni di distanza, della destrezza e dell’abilita della manodopera dell'epoca, anche in opere comuni, che purtroppo non sempre riscontriamo in era moderna. I muratori d’un tempo accompagnavano quindi intelligenza e abilità manuale, in piena aderenza con l’immutata aurea regola del costruire.

Sulla scorta di tutte le conoscenze pervenuteci e dalle indagini condotte sulle malte del passato, è stato dato vita ad un progetto volto ad identificare un sistema di deumidificazione che avesse le stesse caratteristiche dei manufatti del passato e che di questi avessero gli stessi risultati e le stesse garanzie.

Il nostro studio si è svolto, quindi, mirando a riprodurre e riproporre le stesse malte del passato, mettendo a disposizione del nostro gruppo di studio le medesime materie che la storia suggerisce, con la certezza della loro durabilità ed integra efficacia nel tempo.


Fig. a Malta romana integra


Fig. b Malta romana degradata


La riscoperta di un antico legante: la Calce Pozzolanica Romana

L’opera di ingegneria più prestigiosa dell’antichità e il Pantheon a Roma. Su questo stupefacente monumento, dedicato a tutte le divinità, insiste una volta a cupola in calcestruzzo alleggerito, il cui diametro raggiunge l’incredibile luce di 43,3 metri.

Prima che tale opera fosse eretta, nessuno aveva mai osato pensare di progettare una struttura di tale ardimento. Ne la maestosa cupola di Hagia Sophia ad Istambul (33 metri circa), ne la cupola di San Pietro, anch’essa a Roma (circa 42 metri), nonostante la loro imponenza, mostrano tutto il genio di chi la progetto e la capacita di chi la costruì, che solo ai nostri tempi e stato possibile sorpassare, grazie alla tecnica costruttiva del calcestruzzo armato. Come arrivarono i Romani a realizzare opere cosi prestigiose?

Fu l’uso dell’Opus Caementitium (anche: opus caementicium) che permise tanta bellezza.

opus caementicium
Opus caementicium

La forma dell’elemento da costruire veniva ottenuta mediante una cassaforma costruita in pietre opportunamente posate, oppure formata da tavole e travi di legno; gli aggregati venivano accuratamente e prolungatamente mescolati alla malta.

Con l’indurimento del legante e la sua maturazione si otteneva un conglomerato assai resistente alla compressione, la cassaforma di legno veniva quindi rimossa, come si fa tutt’oggi, per essere eventualmente riutilizzata. Il termine Opus caementitium indica sia la tecnica, che la qualità del manufatto. La locuzione può pertanto essere tradotta come “costruzione in calcestruzzo” o più genericamente “calcestruzzo romano”.

Originariamente la tecnica di preparazione del calcestruzzo romano si sviluppo per contenere gli aggravi di spesa e per offrire soluzioni più spedite per la costruzione delle mura delle città, dei granai, delle conserve d’acqua, delle strutture portuali, degli acquedotti ed altro. A partire dalla meta del primo secolo della nostra era, col raffinarsi della tecnica dell’Opus Caementitium, abili architetti inventarono nuove strategie progettuali, nel momento in cui poterono impiegare tale materiale per la costruzione di volte e cupole.

E’ sorprendente scoprire come gli ingegneri romani avessero già sperimentato anche il principio del moderno cemento armato. In un ipocausto che veniva, come di consueto, fornito d’acqua calda attraverso le condutture, l’elemento più sorprendente consiste nel fatto che nella copertura di una di queste canalizzazioni realizzate, appunto, in Opus Caementitium, gli archeologi abbiano rinvenuto armature di rinforzo in ferro annegate nel conglomerato. Si sono anche ritrovate armature in ferro intrecciate a forma di rete nelle coperture dell’Herculaneum e delle terme di Traiano a Roma.

Sono state condotte indagini sulla resistenza meccanica di questo materiale, indagando su provini provenienti da strutture storiche romane di tutta Europa, prelevati da manufatti appartenenti alle più ricorrenti tipologie costruttive, quali murature e pareti, fondazioni di colonne, volte di copertura, conserve d’acqua e condutture.

I risultati rilevati dall’indagine conducono ad una sorprendente conclusione: i valori di resistenza alla compressione dei vari Opus Caementitium sono compresi mediamente tra 50 e 400 Kg/cm2 circa, dopo 2000 anni. Essi, pertanto, si sovrappongono, in ordine di grandezza, ai valori di resistenza di un calcestruzzo dei nostri tempi. Ma ciò che stupisce maggiormente e che la scelta della granulometria degli inerti avveniva in modo scrupoloso secondo criteri analoghi ai nostri. Dalla ricostruzione di due originarie curve granulometriche si evince come queste potrebbero perfettamente soddisfare anche le attuali prescrizioni normative.

Il minerale di partenza per la preparazione di un Opus Caementitum e sostanzialmente analogo a quello impiegato oggi per la produzione del cemento e della calce grassa. Alla calce ed agli aggregati, venivano aggiunti composti pozzolanici come il tufo vulcanico e la sabbia ottenuta dalla frantumazione dei mattoni cotti. Il calcestruzzo veniva gettato a strati e la reiterata battitura e costipazione del materiale consentivano una uniforme trasmissione del carico alla struttura. Quindi, per effetto della eguale aderenza tra gli stati, ottenuta dalla compattazione, si otteneva un manufatto d’un solo corpo, con proprietà paragonabili a quelle della pietra.

Si può pertanto affermare che la tecnica della preparazione dell’Opus Caementitium abbia svolto un ruolo fondamentale nella stabilita secolare del costruito nell’Impero Romano e di come la durabilità di siffatte opere sia tutt’ora una testimonianza di rara capacita costruttiva. Più che l’oltraggio del tempo fu l’uomo ad infierire: gli antichi monumenti, sono sempre stati privilegiate cave di pietra per il nuovo fabbricare. Ma ciò che rimane di estremamente prezioso degli Opus Caementitium e che fu oggetto di studio per molti ricercatori dell’800, e il sapiente uso che i Romani seppero fare della pozzolana.


Pianta del Pantheon disegnata da Andrea Palladio

E’ qui da osservare in che modo si sia appurato che le malte romane vitruviane mostrano di avere un setto poroso tale da porle fra i composti con il miglior coefficiente alla diffusione al vapore nonostante il loro peso specifico. Ecco enunciata la composizione della malta definita “Pantheon”, composta come prescritto dalla ricetta originaria:

calx intrita (calce spenta di fossa),

pulvis Baianus (pozzolana di Baia),

testa tunsam (coccio pesto),

pumex et (pomice),

sabulum (sabbia silicea).

L’impasto battuto ed essiccato, mostra di avere un peso specifico medio di 2,0 Kg/litro e, nonostante ciò, il relativo coefficiente di diffusione al vapore (μ) e pari a 3. Si noti poi che, nell’impasto nel quale tutta la calce [Ca(OH)2] si e combinata con i silico-alluminati delle pozzolane (pozzolana di Baia, cocciopesto, pomice), non vi e alcun residuo di calce libera. Avendo come aggregato sabbia silicea (sabulum), che resiste egregiamente all’aggressione chimica e non carbonatica, ben si comprende come questi manufatti abbiano resistito integri alle ingiurie del tempo nei secoli.

DELLE MALTE “PORCELLANE”
Da qualche anno, in tutto il mondo, molti ricercatori, che si occupano di materiali per il restauro monumentale storico, si stanno assiduamente applicando per trovare spiegazioni che possano dare adeguate risposte alle istanze che vengono da chi e preposto al riproponimento di materie e soluzioni, che abbiano la medesima bellezza e longevità di quelle storiche. Come e già avvenuto in altri casi, la risposta viene ancora dall’opera di chi ci ha preceduto.

Ecco cosa si legge in un capitolo nel piccolo tomo Manuale D’Architettura (1629) di Giovanni Branca, l’ascolano.

Nuova materia all’Architettura massimamente per gli ornamenti più delicati può somministrare la nuova Plastica de’ Tartari inventata dallo Scrittore di queste aggiunte, e della quale a spese del medesimo, […] se n’e eretta modernamente una fabbrica a i Bagni di S. Filippo in Toscana con privilegio Reale. Con questa nuov’Arte l’acque di quei Bagni si lasciano sopra cavi, o sieno forme un tartaro bianco lattato, duro a piacimento fin' a farlo superare la durezza del marmo Carrarino Statuario, dependendo ciò da alcune leggi, […] risistente alle ingiurie quanto il travertino, improntato fedelmente di tutti i tratti anche più minuti e capillari, che abbia il modello”.

La singolarità di questa indicazione risiede nel modo con cui il Branca suggerisce di replicare pezzi di statue e capitelli, mediante la preparazione di un suo ritrovato da versare in stampi confezionati per la riproduzione di “capricciosissimi” pezzi originari.

Non esiste in letteratura nessun riferimento a malte che facciano pronta presa (idrauliche), che raggiungano resistenze alla compressione tali da sorpassare in durezza il celeberrimo marmo di Carrara. Evidentemente l’innovazione sta nell’uso di un ingrediente (una sorta di pozzolana), che dia nervo e resistenza alla malta e che nel contempo rimanga di color “bianco lattato” come altrimenti nessuna pozzolana può fare.

Dalla lettura del Branca si intuisce che egli e depositario di un qualche “segreto” che non vuol svelare, un segreto di Bottega che solo lui e pochi altri conoscono e che gli permette di sfruttarlo in una “nuova fabbrica”. L’inventamento (personalmente provato dal Branca medesimo), che egli rende pubblico attraverso le pagine del suo Manuale, sta fra la semplice testimonianza di una verità che proviene da lontano e il riproponimento di un precetto che non può che essergli pervenuto dalla tradizione di Bottega.

Non vi e alcun dubbio che il miracoloso “Tartaro bianco lattato”, di cui egli orgogliosamente disquisisce, altro non e che una malta “porcellana” in uso presso i mastri.

Terme San Filippo
Terme San Filippo, nel Parco della Val d'Orcia in provincia di Siena

In documenti d’archivio quattrocenteschi si trovano notizie sul trasporto via mare, dai monti della Tolfa, dietro Civitavecchia, d’un minerale che veniva impiegato per conciare le pelli e per preparare tinteggi per i tessuti. L’elemento ricercato era il cosi detto allume di rocca, ovvero l’alluminato di potassio, ben conosciuto nelle Botteghe di pittura. Tale allume era estratto dal minerale importato. Ciò che rimaneva, dopo la selezione, era caolino con qualche traccia di alluminato. Coscientemente o per avventura, i mastri calcinai genovesi mescolarono il materiale a calcari magnesiaci (molto comuni sul territorio ligure) ed ottennero, calcinandoli a bassa temperatura, un materiale, che usato per formare delle malte, si dimostro un formidabile legante idraulico. E poiché le malte cosi preparate si mostravano bianche, nitide e lucide come la preziosa terraglia cinese, l’impasto rimase nella tradizione genovese, col nome di “porcellana”, sin dai secoli antecedenti l’affermazione che si trova nel manuale del Branca e pertanto una vera e propria innovazione non la si può definire.

I genovesi conoscevano da tempo, per tradizione, l’uso del caolino calcinato per rafforzare le loro malte e questa tecnica, ancor per tradizione, essi stessi devono averla appresa e consolidata, attraverso pratiche consacrate da millenni di esperienza, da chi li aveva preceduti in quest’Arte, probabilmente dai Fenici.

E’ certo che, una volta provato in laboratorio il comportamento di una mistura di calce idrata d’origine ligure e di caolino della Tolfa, calcinato a bassa temperatura, come raccontano i vecchi artieri genovesi, non si può non intuire, che probabilmente l’uso di questi innovativi leganti potrebbero condurci sulla giusta strada.

I fenomeni di presa idraulica fra materiali cotti a temperature inusualmente basse, contrastano con l’ormai radicata convinzione che, più alta sia la temperatura di cottura dei materiali, più alta sarà la resistenza alla compressione dei manufatti con essi composti. I resti di antiche malte “porcellane” ritrovate a Porto Vecchio, a Genova, e le antiche “misteriose” malte pozzolaniche romane, dimostrano esattamente il contrario.

I risultati preliminari, che concernono il fenomeno generale di indurimento del metacaolino (caolino calcinato) mescolato all’idrossido di calcio, come agente attivante, sono cosi stupefacenti da far pensare che forse, a guardare nelle pieghe dell’empirico, si possono trovare quelle risposte, che la ricerca scientifica ottocentesca non seppe del tutto spiegare.

caolino
Il caolino

Orbene, mescolando l’antichissima arte dei Magister Calcariarum della preparazione dell’Opus Caementitium, con la sapienza empirica dei costruttori genovesi, si arriva oggi a disporre di leganti di grandissima affidabilità. Questa, infatti, è la premessa su cui si è fondato lo studio e la realizzazione del legante denominato “Calce Pozzolanica Pantheon”.

Il legante formulato e una calce idraulica (FL 5.0, secondo la normativa UNI EN 459-1:2010), composto a freddo, ottenuto dalla mistione di calce idrata in polvere, ad alto titolo di idrato di calcio (98%), calcinata a bassa temperatura (850°C) e selezionata con appropriati separatori. La parte pozzolanica e costituita da pozzolane naturali zeolitiche, rafforzate da composti caolinitici (2SA) micronizzati. Il rapporto fra idrato di calcio [Ca(OH)2] e prodotti pozzolanici e stato raggiunto dopo una attenta indagine sullo Chapelle, ovverosia l’indice di pozzolanicità. (L’indice di Chapelle determina la quantità di milligrammi di idrato di calcio che si combinano con 1000 grammi dello specifico aggregato pozzolanico in esame, all’atto dell’idratazione).

La carica da aggregare al legante nella formulazione e una ponderata quantità di pura polvere silicea, composta in curva granulometrica continua, selezionata fra 0 e 40 μmicron, eventualmente modificata con filler super-leggeri a base di silicoalluminati, idrati, espansi, al fine di raggiungere il peso specifico voluto.

La Calce Pozzolanica Pantheon, che e la sintesi di tutti i leganti descritti nei documenti d'archivio, da Vitruvio alla letteratura più recente, e perfettamente compatibile con le strutture storiche d’ogni tempo, ed e estremamente versatile nella preparazione di ogni tipo di malta si voglia usare nell’opera di restauro.

sabato 5 giugno 2021

GRASSELLO DI CALCE "LA GARANZIA DELLA STORIA"

 

STORIA DI CALCI E DI FORNI


L'origine della manifattura della calce è cosa incerta. Quando questa pratica, scaturita dalla casualità della scoperta, abbia avuto inizio, non lo si può stabilire, né si può stabilire quando i preistorici ebbero coscienza dei fenomeni che si accompagnano alla produzione della calce.

I primi villaggi appaiono in epoca natufiana (Palestina e dintorni), epoca che apre le porte al neolitico vero e proprio. Questo succedeva circa 14-15 mila anni fa. Di quella cultura sono stati trovati, a Mallaha, dei resti di una conserva per granaglie con le pareti rivestite di calce; nello stesso sito è stata ritrovata un’abitazione con una parete tonacata con calce, dipinta di ocra rossa.

Mesopotamia

In un giacimento dell’alta Mesopotamia, sul lato orientale del Tauro, presso un affluente di destra del Tigri, in un sito di età neolitica, preceramica, chiamato Çayönü (pronuncia: Ciaionù), la data del quale risale a circa 7250 anni a.C., al quarto livello è stato rinvenuto uno straordinario pavimento a terrazzo, con tasselli lapidei distribuiti a mosaico. In quel luogo si calcola che sia stata usata una quantità di calce pari a non meno di una tonnellata.

Çayönü
Sito neolitico di Çayönü, Anatolia, Turchia

In un altro sito, Nevali Çori, ancora in Anatolia, si ritrova un simile pavimento a terrazzo, in calce ed aggregati lapidei, ancora lucente, il quale gareggia in bellezza con gli intonaci dipinti in ocra di Çatalhöyük (pronuncia: Ciatal Uiuk, spesso scritto Çatal Hüyük), datati 6250 anni a.C.

Che questi nostri predecessori preistorici, un bel dì, a modo loro, avessero acquisito coscienza dei processi di decarbonatazione, idratazione e ricarbonatazione per assimilazione di anidride carbonica, è innegabile.

Çatal Hüyük
Sito neolitico di Çatal Hüyük, Anatolia, Turchia

Gli storici dell'antichità sono oggi dell'opinione che la conoscenza di questa pratica doveva essere già largamente diffusa ed uniformata almeno quando vennero costruiti i primi forni verticali da calce. In base alle nostre conoscenze archeologiche questi forni furono realizzati circa 2000 anni prima della venuta di Cristo, in Mesopotamia, il paese civilizzato più antico dell'umanità, tra il Tigri e l'Eufrate, in prossimità della città di Ur.

Come emerge dai rilevamenti sui reperti archeologici, questi forni risultano più sviluppati rispetto ai precedenti. Per preparare la cotta veniva eretta dapprima una volta in legno nel forno, ammucchiando a strati il materiale dolomitico trovato nei dintorni in modo tale che la volta, anche dopo la combustione, della costruzione in legno, usata anch'essa come combustibile, non precipitasse sul fondo.

La combustione nel forno avveniva con legname attraverso la bocca. La durata della cottura si protraeva per una o due settimane secondo la carica.

Oltre a queste antichissime tracce, si ritrovano oggidì in tutta Europa molte testimonianze sulla cottura della calce appartenenti al Medioevo e all'epoca Moderna.

Nell'installazione di un forno da calce si procedeva spesso praticando un pozzo in una parete di calcare a ridosso d'un pendio e collegandolo in basso, con l'esterno, attraverso il diaframma di contenimento, mediante una corta galleria, che era poi il foro d'entrata al prefùrnio, che serviva per attizzare il fuoco. E similmente a come avveniva nei forni Romani appena accennati, anche in questi si erigeva una volta in calcare, accendendo sotto di questa il fuoco da grossi pezzi di legname. La sezione di questi forni era indifferentemente ovale o circolare.

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Forno di montagna
Forno di montagna

Bisogna attendere sino al 1750 per trovare un forno a funzionalità migliorata; esso era già simile al moderno forno a tino ed il profilo della camera di combustione avrebbe caratterizzato la maggior parte dei forni costruiti in futuro.

Il funzionamento di questi forni maggiorati, con cottura a cariche, non risultava economico però, a causa del ridotto sfruttamento del combustibile: la produzione era infatti molto bassa per effetto del prolungato tempo di raffreddamento delle cotte. Ragioni sufficienti queste per indurre i tecnici dell'epoca a progettare sistemi di processo di maggior rendimento ed economicità. Gli studi che ne seguirono portarono infatti allo sviluppo dei forni verticali come oggi li conosciamo: ad esercizio continuo con alimentazione dall'alto ed estrazione dal basso della calce cotta.

Durante gli ultimissimi anni del Settecento già si erge, in prossimità di ricchi giacimenti di carbon fossile, il primo forno verticale alimentato con carbone anziché le tradizionali legna, lignite o torba.

Il forno cilindrico, a funzionamento continuo, è alto 5 metri, con una luce interna di 150 cm, ed un volume di 9 mc, e viene caricato dall'alto con strati alternati di carbon fossile e carbonati.

Si ritiene comunque che quasi tutti i popoli civili, come gli Egiziani, i Cinesi, i Maya oltre ai Fenici, ai Greci ed ai Romani, abbiano conosciuto la tecnica della cottura della calce ed il suo impiego.

Dalla Mesopotamia la conoscenza della fabbricazione della calce si diffuse rapidamente nel Vicino Oriente. Nella costruzione di Troia e di Micene si impiegò una malta di calce. Nell'Antico Testamento già si descrivono i tinteggi degli edifici con scialbi di calce.

Col passar dei secoli, probabilmente per effetto dell'intensa attività di scambi commerciali, tale conoscenza arrivò ai Greci, che la trasmisero poi ai Romani, i quali ne perfezionarono la tecnica di fabbricazione e d'impiego.

Molto similmente all'uso che ne facciamo oggi in edilizia, la calce venne impiegata nell'antichità, prevalentemente per le malte da costruzione e da intonaco; inoltre venne diffusamente impiegata per i tinteggi delle pareti e la formazione dei pavimenti. La grande perfezione nel costruire, raggiunta in quei periodi, è testimoniata dalle possenti ed arditissime costruzioni romane, che ancor oggi possiamo ammirare in tutta Europa.

All'epoca dei Romani, la professione del fornaciaio da calce era molto considerata: lo testimonia la designazione di "Magister Calcariarum" ritrovata su diverse steli votive portate alla luce durante scavi archeologici. Soprattutto Marco Pollio Vitruvio descrive diffusamente sulla tecnica nell'unica opera organica conservataci. Egli si sofferma in particolare sull'opus caementicium, una miscela di calce viva, pozzolana, coccio pesto e sabbia.

I popoli europei appresero dai Romani la tecnica della cottura della calce: tale conoscenza risulterebbe limitata in un primo tempo alle regioni occupate dai Romani, ma sicuramente si estese poi verso oriente. A tal riguardo è sorprendente la recente scoperta, su un'isola della Sprea (Berlino), dei resti di un forno da calce, che dev’esser stato utilizzato dai Germani o dai Veneti.

Benché le costruzioni degli Incas in Perù furono erette in gran parte senza malta, è invece sicuro che i Toltechi abbiano lavorato, a partire dal settimo secolo dell'era moderna, nel Messico, con malta di calce; così come si fece per la costruzione delle piramidi di Shensi nel Tibet e per l'innalzamento della Grande Muraglia Cinese. Solo ultimamente si è scoperto che la tenacia delle malte che legano i mattoni della appena citata Muraglia è dovuta al diffuso uso dell’amido di riso come temperante del legante applicato.

La calce non servì nel passato esclusivamente alla preparazione delle malte da costruzione: gli Egiziani, come i Cretesi, i Micenei, gli Etruschi, i Maya ed altri civilissimi popoli - che per brevità non cito - conobbero la calce come colorante. I Greci e i Romani svilupparono questa tecnica dell'impiego della calce sino a spingersi ad esiti estetici di nobilissima raffinatezza. La calce trovò impiego nella decorazione di pregiati vasellami, vasi ed oggetti ornamentali e soprattutto dipinti murali che son stati, da sempre, il vanto della cultura e dell'Arte dell'uso della calce.

La calce viva venne anche impiegata come farmaco in virtù della sua azione cauterizzante. I Moche peruviani, popolazione Inca d'origine ancora ignota, usavano mescolare alla foglia di coca un pizzico di calce al fine di far sprigionare gli alcaloidi dalla droga, durante i loro riti divinatori.Plino il Vecchio ne riconosce le virtù medicamentose e fertilizzanti; gli Egiziani la impiegarono per la concia delle pelli; e l'acqua di calce venne usata in tintoria; i Romani, mescolata con sostanze organiche come l'olio, il grasso, l'albume, impiegarono la calce come colla. E' sorprendente che gli Assiri citassero la calce nelle loro ricette per la preparazione del vetro: questa possibilità d'impiego fu riscoperta solo alla fine del Medioevo.

Le conoscenze degli antichi popoli civili furono in gran parte dimenticate nel periodo buio del Medioevo. Basti citare che fosse accettata l'opinione che la calce viva risultasse costituita dal calcare d'origine e dal fuoco assorbito durante la sua cottura, e tale opinione, seppur errata, ebbe per effetto di vederla, con successo, utilizzata per fabbricare ordigni incendiari con scopi offensivi, con l’intento di ustionare i nemici in battaglia.

I Cinesi, al pari, sfruttarono per gli stessi infausti scopi, il calore che si sviluppa dalla trasformazione dall'ossido di calcio in idrato all'atto dello spegnimento.

Nei primi del Cinquecento, il tedesco George Bauer, detto “l’Agricola”, per primo illustrò dettagliatamente l'impiego della calce in siderurgia.

Dei primi usi della calce, ci resta ancora memoria del suo antico impiego per la costruzione delle cisterne in Gerusalemme, effettuata sotto il governo di Salomone nel X secolo a.C..

La cottura ed il successivo spegnimento della calce, era una operazione ben conosciuta dagli antichi romani, che diedero anche delle regole per quelle manipolazioni; in “De Re Rustica” Catone il Censore, a proposito della produzione della calce e delle malte, indica che i migliori risultati si ottengono con i calcari di colore più bianco; ugualmente si esprime Vitruvio, il quale oltre all’indicazione del colore e quindi della purezza del calcare, ammette che le calci da usarsi per murature, è bene impiegare calcari compatti, mentre per le calci da intonaci sono indicati i calcari più porosi.

Nelle varie trattazioni si trova solo menzione della calce aerea, che richiede, prima dell’uso, l’operazione di spegnimento in acqua ed una prolungata stagionatura nelle fosse; secondo quanto ci tramanda Plinio, vi era l’obbligo di usare soltanto la calce che avesse avuto una permanenza nelle fosse di almeno tre anni: “Intrita quoque ea quo vetustior, eo melior. In antiquorum aedium legibus invenitur, ne recentiore trima uteretur redemptor; ideo nullae tectoria eorum rimae foedavere” (Plinio, XXXVI, LV, 176).

Per quanto riguarda l’impiego di malte resistenti all’acqua, preparate cioè con leganti idraulici, se ne trova il primo cenno a proposito delle già citate cisterne in Gerusalemme, la cui parte inferiore, in contatto con l’acqua, fu ricoperta con un intonaco impermeabile, costituito da una miscela di calce, polvere di mattone e materiale organico, miscela il cui uso si suppone sia stato insegnato dagli operai fenici adibiti a quella costruzione; sembra quindi che i fenici già conoscessero empiricamente le proprietà idrauliche dell’argilla cotta posta in mistione con la calce, il cui impiego si è trasmesso sino ai giorni nostri con quei prodotti che si ottengono appunto mediante la torrefazione dell’argilla e che noi annoveriamo fra le “pozzolane artificiali”.

Parallelamente all’uso del cocciopesto, si cominciarono ad impiegare materiali naturali dalle spiccate caratteristiche di idraulicità, quali la terra di Santorino nell’arcipelago delle Cicladi e la pozzolana italiana sia dei dintorni di Napoli (Pozzuoli, da cui il suo nome pozzolana), sia quella della zona laziale; è naturale che questi materiali si incominciassero ad usare come semplici sabbie da costruzione, e che soltanto dall’uso se ne poté constatare le proprietà idrauliche.

E’ dubbio se gli antichi abbiano ottenuto ed utilizzato calci idrauliche derivate dalla cottura di calcari marnosi.

Nella letteratura latina manca un esplicito ed illuminante riferimento a questa qualità di calce: anzi, nelle prescrizioni per le calci da costruire, vengono sempre scartati i calcari argillosi; ciò non esclude però che senza averne piena coscienza, si sia usata calce idraulica, ritenendola un tipo di calce aerea di qualità più scadente di quelle calci aeree che erano ottenute da calcari più puri, ossia più bianchi.

Dalla caduta dell’impero romano fino al XVIII secolo, ben pochi sono stati i progressi della tecnica costruttiva; continuò l’uso del gesso e della calce aerea, seguendo le stesse prescrizioni tramandate dai romani (seguendo Vitruvio, Alberti ed altri Grandi) e continuò l’uso delle malte pozzolaniche sia costituite da calce e polvere di laterizi, sia da calce e pozzolana naturale, alle quali si devono aggiungere, oltre alle terre di Santorino, quei tipici tufi tedeschi della zona renana, i cosiddetti trass, e la gaize francese.

Nel corso della storia moderna, attorno ai primissimi anni dell'Ottocento, le conoscenze sui componenti intimi della calce, si svilupparono velocemente e si approfondirono. Ci fu chi disse cose egregie e chi inciampò in errori ed opinioni contrastanti, ma entro il primo ventennio di quasi due secoli fa, grazie a curiosi e caparbi ricercatori, il segreto racchiuso in quest'antichissimo materiale, fu svelato a tutti.

In un'era di grande euforia, alimentata dall'incontenibile voglia di scoprire il “segreto” delle malte romane, fu fatta luce sul significato dell'elemento Calcio. Fu fatta chiarezza sul significato di calce viva, calce spenta, decarbonatazione e ricarbonatazione, presa e indurimento, presa aerea e presa idraulica: ma soprattutto si trovarono quegli elementi che permisero a quei curiosi ricercatori di cogliere i millenari segreti dei leganti del passato e riproporli in un “nuovissimo e rivoluzionario materiale”: il cemento.

Le più alte temperature raggiungibili, i nuovi forni e con nuovi combustibili, aprirono la strada ad una nuova cultura. Con il brevetto 5022, del 1824, che presenta al mondo del costruire il nuovissimo legante Portland, inizia a scomparire la figura del Magister Calcariarum.



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